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d aver visto la fiera e d aver parlato con i conoscenti, si
mettevano a mangiare.
All entrata del prato, alcune baracche vendevano col-
telli, falci, pietre rotatoie, forbici da potare, barili nuovi.
Un uomo, ventruto, si scalmanava, battendo la mano
aperta su le stoffe che egli teneva con il pugno dell altra
mano, sopra alla testa. Un cantastorie, aiutato dalla mo-
glie, stonava e storceva la bocca per far ridere; accompa-
gnandosi con un enorme chitarra unta. Era magro e gri-
gio; e, corrugando la fronte, faceva andare avanti e
indietro il cappello a staio. La donna, più piccola di lui,
rossa in viso, aveva i capelli d un biondo bianchiccio, te-
nuti fermi con una sola forcella di ottone che faceva gola
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Federigo Tozzi - Il podere
a tutte le contadine. Quando doveva alzare la voce, per
non fare stecca, spingeva in avanti il buzzo e piegava un
ginocchio. Ed ambedue, cantando, guardavano con gli
occhi fissi di là dalla gente, come fuori di sé e assorti.
Le ragazze, tenendosi i gomiti su le spalle l una
dell altra, con tutto il peso del loro corpo, ascoltavano
ridacchiando, pigiate in mezzo ai giovanotti; senza im-
permalirsi di certe parole che andavano a dirle loro den-
tro gli orecchi. Quando una aveva indolenzite le spalle
dal braccio di un altra, le smoveva perché le cambiasse
di posto. Erano vestite a festa, e ci stavano così volentie-
ri che quelli della loro famiglia dovevano tirarle via per
le braccia.
Lì accanto, un giovane, con i baffi biondi e le basette
lunghe, vendeva le aringhe di un barilotto da dove le
prendeva con la punta di uno stecco.
Da Siena venivano le frotte dei contadini che erano
stati a mangiare nelle bettole, urtandosi, gridando o
burlando qualcuno che aveva bevuto troppo e barcolla-
va. Alcuni s erano fatti accompagnare, per la prima vol-
ta, a trovare le ragazze; in un vicolo immondo come un
moscaio.
A quelli che stavano chi sa perché immobili, guardan-
do sempre la stessa cosa, magari una ruota o la punta di
una coda, il sole faceva storcere il viso e aprire la bocca.
Erano persone che stavano lì; insieme, accanto, da ore e
ore, e non s erano mai detto né meno una parola; guar-
dando soltanto quando uno di loro gridava a un bove
che stesse fermo o smettesse di grattarsi. Il sudore rigava
giù il viso acceso come se bruciasse.
I mercanti più conosciuti giravano dove c erano le
paia più belle, portando i bastoni agganciati a una spalla
o al collo.
Picciòlo si trovò un poco perso; ma sapeva che un suo
conoscente doveva aver portato un branco di vitelli; e,
perciò, senza perdersi d animo, cercò subito di lui. Mo-
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scino lo seguiva, inciampando tra le sue gambe, sbatten-
do la testa nella sua schiena; perché non sapeva dove an-
dava e camminava voltandosi a guardare attorno. Final-
mente, proprio nel mezzo della fiera, dove il bestiame era
così fitto che per moversi bisognava prima far scansare le
bestie, lo trovò. Gli dette la mano; e si mise a gridargli:
 Mi devi vendere un vitello da farmici onore.
Il venditore gli disse:
 Qui ce ne sono trenta, tutti miei; scegli.
Ma Picciòlo gridava ancora senza vedere niente; gri-
dava che se non gliene dava uno proprio da amico non
gli avrebbe parlato più. Quello, mezzo assordito, lo al-
lontanò; prima con le braccia e poi puntandogli il basto-
ne sul petto. E gli disse:
 Scegli, t ho detto. Per ora, i migliori non li ho con-
dotti. Vuoi una bastonata sul capo?
Ma Picciòlo non l udiva. Allora quegli lo prese per la
camicia e lo portò davanti a un vitello dei più piccoli.
 Eccolo! Lo vedi? Questo devi comprare! È inutile
che tu perda tempo a guardarne altri.
 E quanto costa?
 Mi darai venticinque napoleoni.
Picciòlo si picchiò la testa, e restò senza fiatare.
 E quanto vuoi darmi?
 Lasciamelo prima vedere.
 Fai il comodo tuo.
Picciòlo lo guardò in bocca, aprendogliela con le mani.
 Di bocca, mi piace.
Poi gli tastò la testa dove aveva due bitorzoli teneri e
caldi più della carne, che sarebbero doventati le corna.
E chiese:
 Ha nessun difetto?
 Nessuno: te lo garantisco.
 Fammi vedere come cammina.
Il venditore sciolse il vitello, e gli fece fare qualche
passo.
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Federigo Tozzi - Il podere
 Mi pare che la gamba destra di dietro la mandi un
poco in fuori.
Il venditore fece un grido:
 Che hai detto? Questa bestia è fatta con il compasso
e con il pennello. In tutta la fiera, non ce n ha uno egua-
le. Fossero tutti gli altri vitelli come lui!
Picciòlo restò soprapensiero, e poi disse:
 Quanto hai detto che vuoi?
 Te lo devo ripetere?
 Sì, perché non me lo ricordo.
 Venticinque napoleoni.
 Fossi pazzo! Ah! Non se ne fa di nulla! Arrivederci!
E se ne andò; ma, per quanto girasse, non ne trovava
un altro. Allora, finse di ripassare di lì per caso, come se
volesse tirare di lungo; mettendosi, dalla parte del ven-
ditore, il cappello su l occhio. Ma quello lo fermò, pog-
giandogli il bastone sul collo:
 Dove vai?
 Voglio andare a casa.
 E il vitello non ce lo porti?
 No, no!
 Piglialo per ventitré napoleoni, e falla finita. Che
Sant Antonio gli tenga gli occhi addosso. Se lo merita,
povera bestia!
 Te ne do venti.
Allora si misero a gridare:
 Ho detto ventitrè.
 E io venti.
Stettero zitti, guardandosi negli occhi, ansando; e,
poi, ricominciarono:
 Dammene ventidue. Per meno, non te lo do anche
se mi dovesse morire.
 Te ne do venti.
 Ne voglio ventidue. Piglia il vitello.
Lo sciolse, e mise la fune nelle mani di Picciòlo.
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 Portalo via.
E dette una bastonata al vitello; che fece un salto,
portandosi dietro Picciòlo.
 Facciamo ventuno.
Il venditore si mise a bestemmiare; ma siccome Pic-
ciòlo stava lì fermo, gridò:
 Piglialo per ventuno. Sono centocinque lire.
 Il mio padrone te lo pagherà, com è d uso, tra dieci
giorni; se il vitello non ha nessuna malattia.
 Sta bene!
E si dettero la mano.
Era un vitello slattato da pochi giorni, macilento e de-
bole; uno di quei vitelli che portano di Maremma, a
branchi; e debbono fare trenta o quaranta miglia di stra-
da; per lo più, di notte. Aveva le unghie nere e ancora
tenere; e un muso troppo piccolo, di bestia che ha pati-
to. Arrivò alla Casuccia tutto sudato, con il pelo che gli
s arricciava su i fianchi. Picciòlo lo aveva tirato con una
cavezza al collo, perché a mettergli la nasiera sarebbe
stato presto; e Moscino gli aveva rotto più di una frusta
nelle gambe perché camminasse. Tordo disse:
 Avete comprato un capretto?
E fece una risata. Allora, Berto scese subito di casa e
si mise a girare attorno al vitello, per compassionarlo.
 O come fate a farlo mangiare? Questo muore da qui
a una settimana!
Picciòlo era addolorato e si raccomandava che stesse-
ro zitti; Moscino li avrebbe presi a sassate, benché fosse
mortificato più del padre.
 Vedrete che, quando ha succhiato qualche paiolata
di semola calda, non si riconosce più. Ora è stanco! Cer-
to, se gli dessi l erba, gli farebbe sciogliere il corpo! Ma
ci penserò io! L ho comprato io, e l assisterò io, se il Si-
gnore e sant Antonio benedetto sono contenti che il pa-
drone ci possa guadagnare quando sarà cresciuto.
 Ma questo non cresce! Non vedete che pelame
brutto ha? Pare scabbioso.
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 È la fame che ha patito. Che doveva mangiare i sassi?
 Lo vedremo!
Il vitello faceva qualche sgambetto, ma poi restava an-
che più mogio; e i suoi occhi lacrimavano come se non
fosse stato sano. Tentava di leccarsi i fianchi, e Picciòlo
gli disse:
 Vieni con me nella stalla: ti riposerai e poi mangerai. [ Pobierz całość w formacie PDF ]

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